Mariska Admin
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| Titolo: 6. IN FUGA Ven Ott 28, 2011 4:05 pm | |
| ..Mi imbarcai per la Francia a metà dicembre, quando le notti erano lunghe, e il tempo durante il giorno lì sarebbe stato molto probabilmente nuvoloso e cupo. Viaggiando su una nave postale salpata la sera da Dover, arrivammo a Calais prima del mattino. Impartii disposizioni affinché i miei bagagli fossero mandati a Parigi, dove avevo preso accordi per affittare una vecchia casa in un quartiere degradato, e poi mi misi a cercare un rifugio perché ero stanco.
Ormai portavo abitualmente parecchie once di terreno della Transilvania in un sacco per i momenti di bisogno, e avrei potuto riposare dappertutto. Ma quasi sempre ero costretto a cercare un posto vecchio per riposare.
Assumendo la forma di pipistrello, girai la città finché nei sobborghi non scoprii una vecchia chiesa che portava tutti i segni esterni dell'abbandono. Intorno alla chiesa c'era il cimitero, e in questo scesi, riprendendo ancora una volta il mio aspetto umano.
Un piovischio pesante e nebbioso permeava l'aria, e tutta la zona era priva dell'adeguata luce stradale che rende l'oscurità prima dell'alba meno impenetrabile e sgradita... per un umano. Per me quelle condizioni erano perfette, e non presentavano alcuna difficoltà, dato che posso vedere al buio. Il cimitero era trascurato e la vegetazione era cresciuta più del dovuto, mentre le tombe erano niente più che dune senza forma ricoperte di erbacce e sormontate da lapidi rovinate dal tempo in vari stati di decrepitezza e rovina.
Cercai in giro finché non trovai una tomba di famiglia in disuso, con le mura esterne che stillavano umidità e macchiate dalla crescita di muschio e funghi. Un posto così era perfetto per le mie necessità. La porta della tomba era aperta, anzi socchiusa, e all'interno c'erano alcune nicchie contenenti delle bare marce insieme a una mezza dozzina di sarcofagi di pietra al centro del pavimento.
Sollevai il coperchio del più grosso e gettai via le ossa sgretolate che erano tutto quello che restava dell'occupante. Avrei potuto restare lì comodamente per un giorno o due prima di continuare il mio viaggio verso Parigi.
Mentre stavo sparpagliando quelle patetiche ossa, la voce di un uomo, rozza e lamentosa, urlò nelle tenebre. Sebbene il suo modo di parlare fosse pieno di espressioni dialettali, il mio francese è buono, e lo capii abbastanza facilmente.
"Che succede?" disse "Chi si sta introducendo nel mio rifugio?"
Uscì barcollando da dietro un altro sarcofago facendosi vedere: era un furfante non rasato con gli occhi offuscati e i denti marci. Una mano sporca e segnata da cicatrici stringeva al petto una bottiglia di assenzio, e tutto intorno a lui puzzava di alcool.
"Che vuoi? Vai a farti fottere! Questo posto è mio!" sbraitò.
"Fate più attenzione," lo avvertii "dovreste stare attento a come vi rivolgete agli stranieri, perché non sapete cosa sono capaci di fare. Ho bisogno di un rifugio per un giorno o due, e poi me ne andrò da qui. Fino ad allora, non curatevi di me, ed io non mi curerò di voi."
"Oh, un maledetto damerino," affermò sogghignando l'uomo "scommetto che potrai darmi qualche soldo. Avanti, consegnami il tuo denaro." Impugnando la bottiglia per il collo, fece un gesto minaccioso.
Tutta la furia repressa dentro di me esplose, una furia che aveva ribollito da quando Van Helsing e i suoi compagni avevano ostacolato i miei piani. Afferrato quel balordo, lo gettai a terra, ed egli urlò preso dall'agonia mentre le sue ossa si frantumavano. "No, m'sieu!" gridò "Non intendevo far nulla. La tomba è vostra, lasciatemi solo vivere!"
Mi chinai e lo tirai verso di me come un bambino che stringe rudemente un gattino e, non pensando di ricorrere al mesmerismo calmante, gli conficcai i denti nella giugulare. Avevo deciso di astenermi dal cibo ghiotto, ma mi resi conto che un buon banchetto mi avrebbe sostenuto per un po' del tempo futuro. Bevvi a fondo finché alla fine quell'animale che strillava non si calmò, essendo prossimo alla morte. Il suo sangue era cattivo, senza dubbio il risultato di tanti anni passati a bere robaccia, ma per il momento avrebbe dovuto bastarmi.
Poi mi maledissi per quello che avevo fato, non a causa del rimorso - poiché questa è un'emozione a me estranea - ma per il fatto che avevo infettato una creatura indegna di unirsi alle schiere dei Nosferatu. Gettatolo a terra, gli strappai la camicia logora, gli aprii il corpo, e con i miei artigli gli feci a brandelli il cuore ancora pulsante. Alla fine, la rabbia era calata, ed io ero più calmo. Lasciata la carcassa nel punto in cui era caduta, mi sistemai dentro la tomba e riposai bene...
(CONTINUA) | |
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